domenica 14 ottobre 2012

Reality


Sinossi: Luciano è un pescivendolo napoletano, simpatico ed estroverso, che ama esibirsi per il piacere di amici e parenti. Incoraggiato dai famigliari, un giorno partecipa a un casting per la nuova edizione del Grande Fratello. Sarà l’inizio di una paranoica attesa che allontanerà il protagonista sempre di più dalla realtà.



A quattro anni dallo strepitoso successo internazionale ottenuto grazie a Gomorra, Matteo Garrone torna dietro alla macchina da presa con Reality, una commedia che sconfina nel drammatico come nella migliore tradizione cinematografica italiana.

Tutto il film ruota intorno alla storia di Luciano, un comune pescivendolo napoletano, (interpretato magistralmente da Aniello Arena) e alla dicotomia di radice orwelliana realtà / finzione. Il protagonista impersona l’uomo qualunque stereotipato, di estrazione popolare, ingenuo e puro, che sogna di andare in televisione per diventare famoso e cambiare vita. L’occasione si presenta con un provino per la nuova edizione del Grande Fratello organizzato in un centro commerciale. Un secondo giro di casting a Roma fa cadere Luciano nella “trappola”: la paranoica attesa per la conferma della partecipazione al reality lo allontana sempre di più dalla realtà, scambiata per finzione. La narrazione prosegue raccontando il crescente smarrimento esistenziale del protagonista, perso in un'illusione collettiva che contagia non solo la sua famiglia, ma l’intero quartiere.

La storia, come si vede, è molto semplice. La bellezza del film sta però nello stile scelto dal regista per raccontarla: un utilizzo della macchina da presa funzionale al racconto, senza fronzoli, né fini pedagogici o giudizi sull'operato dei personaggi. In breve a trionfare non è tanto la storia in sé, ma lo stile del cineasta romano che abbiamo visto già nelle sue opere precedenti: l’uso di molti attori non professionisti, riprese in ambienti reali e un vasto utilizzo della cinepresa a spalla. Il tutto serve a rendere il racconto il più reale possibile, come nelle commedie teatrali di Eduardo De Filippo o nelle commedie all’italiana di Monicelli e di De Sica.

Il fim ha poi il pregio di essere racchiuso in una specie di cerchio creato dai movimenti della macchina da presa, fatti di continui su-giù, dentro-fuori. La pellicola si apre infatti con un’inquadratura aerea di una carrozza barocca che si sta recando a un matrimonio, emblema di qualcosa di artificioso  che per un giorno distoglie le persone dalla vita reale. Nella scena finale, altamente simbolica, si ritorna al cielo con un movimento di macchina, lasciando il protagonista "da solo" in mezzo alla casa del Grande Fratello, sempre più piccolo in una Roma notturna in cui brilla solo il tempio della finzione televisiva. Come se ci fosse una risurrezione di Luciano dopo le fatiche della Via Crucis, ossia la lunga attesa per un qualcosa che si rivela evanescente perché costituito solo da immagini televisive.

Reality, vincitore del Grand Prix all’ultimo Festival di Cannes, è insomma un ottimo film, capace di mescolare elementi vicini ad Orwell, Pirandello ed Eduardo De Filippo con uno sguardo critico sul nostro Paese sempre più teledipendente e incapace di distinguere la realtà dalla finzione. 

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