domenica 31 maggio 2015

Il racconto dei racconti - The Tale of Tales

Sinossi: 1600 circa. Una regina non desidera altro che avere un figlio a qualsiasi costo. Due anziane sorelle che riescono a truffare un re erotomane. Una giovane principessa è costretta a sposare un orco per un errore di presunzione del padre possessivo.



Dopo il successo di Reality, premiato nel 2012 con il Grand Prix a Cannes, Matteo Garrone torna dietro alla macchina da presa per rappresentare un fantasy in chiave iperrelastica, con tonalità horror.

Il racconto dei racconti, in concorso alla 68esima edizione del Festival di Cannes, porta in scena tre racconti racchiusi nell'opera Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, autore campano di fine '500. L'opera, scritta in lingua napoletana e per lo più sconosciuta, rappresenta la raccolta di fiabe più antica d'Europa, capace di influenzare anche autori successivi come i fratelli Grimm. 

Garrone, a differenza delle pellicole precedenti, decide di partire dal mondo del fantastico per rappresentare in modo (iper)realistico tre storie delle 50 di Basile - La Pulce, La vecchia scorticata e La cerva fatata - che ruotano intorno alle pulsioni umane, in particolare l'amore frutto della cupidigia, e che vedono per protagoniste tre figure femminili di diversa età tutte messe alla prova da un destino crudele.  Una regina (Salma Hayek) che brama di avere un figlio a ogni costo per poi "soffocarlo" nel proprio amore materno; una giovane principessa sognatrice vittima di una padre-padrone stolto (un ottimo Toby Jones); una vecchia ingenua che desidera tornare giovane ed essere bella per competere con la sorella sposatasi con un re ossessionato dal sesso (Vincent Cassel).

Le tre storie vengono rappresentate con un efficace montaggio alternato e sono legate tra loro oltre che dai temi in comune, anche dalla presenza di una famiglia circense errante di corte in corte che fa capolino in ciascun racconto.

Il film di Garrone è possente dal punto di vista visivo: la messa in scena, sfarzosa e barocca, è curata nei minimi dettagli, soprattutto nelle scene di apertura. Ottima anche la scelta delle location, tutte italiane,  tra cui il mistico Castel del Monte.

Un altro pregio della pellicola è quella di creare un'opera fantasy fortemente italiana e napoletana, nonostante un grandissimo cast internazionale, utilizzando al meglio effetti speciali artigianali e creando mostri reali sul set e non con la grafica digitale. Come ha dichiarato il regista: 

"Mi sono ispirato a Mario Bava, a certi corti di Pasolini ma anche al Pinocchio di Comencini, a L'armata Brancaleone di Monicelli e naturalmente al Trono di Spade. Anche se ho cercato in tutti i modi di fare un fantasy diverso da quello di impostazione anglosassone".

Il racconto dei racconti è un'opera ambiziosa e coraggiosa, ma purtroppo non riesce a "viaggiare alto" per tutta la sua durata, perdendo colpi per strada e scadendo in un finale poco memorabile. Peccato perché potenzialmente sarebbe potuto essere un film davvero importante, anche se rimane un interessantissimo unicum nella cinematografia italiana degli ultimi anni. 

VOTO: 


martedì 26 maggio 2015

Youth - La giovinezza

Sinossi: Due amici ottantenni, Fred Ballinger e Mick Boyle, trascorrono l'ennesima vacanza nello stesso hotel sulle Alpi svizzere. Mentre Fred, ex compositore e direttore d'orchestra inglese di fama mondiale, è chiuso nella sua apatia e si rifiuta di esibirsi nuovamente seppur su richiesta della regina Elisabetta, Mick è pieno di gioia di vivere e sta lavorando al suo (forse) ultimo film. Ma il tempo sta passando inesorabilmente per entrambi...



Paolo Sorrentino ha presentato la sua ultima opera Youth - La giovinezza al 68esimo Festival di Cannes. Come sempre, il regista napoletano è artefice anche della sceneggiatura del film, che sembra sia stata completata in brevissimo tempo.

Dopo il clamoroso e meritato successo con La grande bellezza, tutti gli occhi erano puntati su Sorrentino, un regista capace di spaccare critica e pubblico tra estimatori e detrattori grazie a uno stile molto personale e a una cura estetica maniacale. Il rischio era, infatti, quello di cadere nel manierismolo sceneggiatore Sorrentino non c'è caduto, il regista Sorrentino, in parte, sì.

Diciamolo subito: Youth non regge il confronto non solo con La grande bellezza e Il Divo, i suoi due capolavori indiscutibili, ma nemmeno con gran parte della sua cinematografia.

La storia, a differenze di altre opere di Sorrentino, è abbastanza semplice in quanto è incentrata su una doppia dicotomia: da una parte - giovinezza / vecchiaia, in parte rappresentata dal rapporto genitori-figli,  dall'altra apatia/gioia di vivere, su cui si poggia la forte amicizia tra un direttore d'orchestra inglese in pensione di nome Fred Ballinger, interpretato magistralmente da Michael Caine, e da Mick Boyle, un anziano regista rinomato giunto a fine carriera (Harvey Keitel).

Quasi tutta la storia narrata si svolge in un lussuoso albergo svizzero frequentato da star (come Maradona) per lo più anziane in cerca di una vacanza che li faccia ringiovanire anche grazie a cure termali, massaggi, etc.

Il film alterna alti e bassi, e presenta purtroppo alcuni cali di ritmo e lacune nella sceneggiatura. Sorrentino brilla ancora una volta nel girare le scene più oniriche e di felliniana memoria come quella del sogno di Ballinger  in cui in una piazza San Marco invasa dal mare si "scontra" su una passerella con una giovane donna bellissima, Miss Universo, un incontro tra giovinezza e vecchiaia che termina con una sensazione di affogamento e di apnea.

Queste scene, esteticamente bellissime grazie anche a una fotografia curatissima diretta sempre da Luca Bigazzi, contrastano fortemente con la maggior parte delle sequenze che riprendono i protagonisti in situazioni "normali" e con dialoghi poco brillanti.  Anche i movimenti di macchina più complessi, di cui Sorrentino è un virtuoso, sono messi da parte in favore di una regia più semplice.

Solo i due protagonisti vengono indagati introspettivamente, mentre  ce ne sono molti misteriosi di "contorno", che, come accadeva in La grande bellezza compongono una galleria esaustiva del grottesco umano.

Anche il tema dei ricordi che svaniscono con l'avanzare dell'età crea un trait d'union con l'opera precedente, ma il tema veniva sviluppato meglio in La grande bellezza  con la frustrante, incessante e umanissima ricerca di Jep Gambardella di ricordarsi il primo amore della sua vita e i dettagli del momento del suo primo bacio.

I punti forti del film sono sicuramente la gigantesca interpretazione di Michael Caine, la colonna sonora di David Lang, la fotografia e alcune, purtroppo poche, sequenze in cui lo stile di Sorrentino irrompe senza freni confondendo magicamente sogno e realtà in un caleidoscopio di immagini.

Sembrerebbe che Sorrentino quando cerchi di fare un film più internazionale, diciamo "hollywoodiano",  smarrisca un po' la sua personalissima e geniale visione di cinema, mettendo un freno alla sua creatività sia di cineasta che di sceneggiatore a vantaggio di un cinema più popolare (e commerciale?). Era già accaduto con This Must Be the Place, altro film internazionale del regista con protagonista Sean Penn.

Come dicono i protagonisti di Youth, le emozioni sono sopravvalutate ma sono tutto ciò che abbiamo; purtroppo Sorrentino ce ne aveva regalate molte di più con le sue opere precedenti.


VOTO: 



lunedì 25 maggio 2015

Cannes 2015: Ko Italia, vince il cinema impegnato

L'Italia esce a mani vuote dalla 68a edizione del Festival di Cannes. Nonostante l'ottima accoglienza sia da parte della critica che del pubblico di tutte e tre le pellicole italiane - Youth di Paolo Sorrentino, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone e Mia madre di Nanni Moretti - la giuria presieduta dai fratelli Coen ha preferito premiare il cinema impegnato, in accordo con il direttore del Festival Thierry Fremaux che ha fortemente voluto in concorso film incentrati su temi di attualità o storici: immigrazione, eutanasia, crisi economica e Shoah.  

La palma d'oro è andata al film francese Dheepan di Jacques Audiard che affronta il tema dell'immigrazione in Francia vista dalla parte degli "altri". In particolare, il film narra la storia di un combattente dello Sri Lanka che per fuggire dalla guerra crea una famiglia di convenienza per andare a vivere a Parigi, dove però lo attenderà un'altra dura realtà, quella delle banlieu.

Il Grand Prix è andato invece all'esordiente regista ungherese László Nemes per la sua opera Son of Saul che affronta il tema della Shoah portando direttamente gli spettatori dentro Auschwitz.

Il premio per la regia è andato al taiwanese Hou Hsiao-Hsien per The Assasin, mentre The Lobster del greco Yorgos Lanthimos si è aggiudicato il premio della giuria suscitando molti dubbi tra i critici. 

Vincent Lindon ha battuto un gigantesco Michael Caine nella categoria "miglior attore" per l'interpretazione di un disoccupato metropolitano nel film francese La loi du marché di Stéphane Brizé, mentre il premio per "miglior attrice" è stato assegnato ex equo a Rooney Mara per Carol di Todd Haynes ed Emmanuelle Bercot per Mon roi di Maïwenn.

La "miglior sceneggiatura" è stata assegnata al messicano Michel Franco per Chronic in cui affronta il tema dell'eutanasia.

La Palma d'oro alla carriera è andata alla grande regista francese Agnès Varda, le cui prime opere anticiparono la Nuovelle Vague.




DICHIARAZIONI ALLA STAMPA DEI CO-PRESIDENTI DI GIURIA

"Sapete, con un'altra giuria, con un altro gruppo di persone, sarebbe finita in modo diverso. Ma noi ci siamo entusiasmati per film in cui ci siamo riconosciuti ed è proprio questa la natura del nostro compito" - ETHAN COEN

"Abbiamo giudicato come artisti, non come critici. Non potevamo premiare tutti, da una selezione perfetta abbiamo tirato fuori un verdetto imperfetto. Alcuni dei film eliminati avremmo voluti rivederli più di una volta, ma è stato impossibile" - JOEL COEN