domenica 29 ottobre 2017

I Rolling Stones a Lucca: cronaca di un concerto memorabile




23 settembre 2017, Lucca. Verso le ore 21,15, sotto le mura della splendida città toscana, inizia il tanto atteso concerto dei Rolling Stones, l’unica tappa italiana del “No Filter Tour” ospitata all’interno del “Lucca Summer Festival”. I 56 mila spettatori vengono proiettati in un’atmosfera “demoniaca” che accompagna la prima canzone in scaletta, “Sympathy for the Devil”: la macumba che i quattro rocker inglesi eseguono per sfamare il demone del rock and roll e continuare a calcare le scene dopo oltre cinquant’anni di carriera. 

Sostenuto dagli accordi del piano, entra in scena prima Mick Jagger, formidabile sia per la tenuta fisica da ragazzino che per un ancora invidiabile capacità canora. Irrompe poi nel ritornello la chitarra di Keith Richards, uno “sbrang” ruvido a livello altissimo che squarcia il cielo di Lucca come un fulmine e scuote il pubblico. Lui, dopo mille peripezie piratesche, c’è ancora e sorride.

La grande apertura del concerto prosegue poi con “It's Only Rock 'n'Roll”, una canzone manifesto del rock. Il pubblico entra subito in sintonia con la band e da lì in poi per Mick e soci tutta la serata è in discesa.

I 294 anni dei quattro- Ron Wood è il più giovane con i suoi 70 anni, Charlie Watts il più vecchio a quota 76, Jagger e Richards ne hanno 74 – non vengono nascosti né dal make-up né da trucchi scenici. Da qui la scelta del nome di questo tour, “nessun filtro”. Non tutto è perfetto: Ron Wood è costretto a fare i salti mortali per sostenere l’amico Keith Richards nell’eseguire la partitura per chitarra, qualche attacco e finale di canzone non è impeccabile, ma di fronte a chi ha fatto la storia del rock sono peccati facilmente perdonabili.

A maggior ragione perché la band sembra molto rilassata e felice di esibirsi in Toscana. Mick in più occasioni sfoggia un ottimo italiano. “Ciao Lucca, ciao Toscana, è la nostra prima volta qui” dice il cantante, storpiando però il nome della città in “Luca”. E poi ancora: “Ho mangiato un buonissimo gelato sul Ponte Vecchio con la May”. Chissà se nell’incontro Mick avesse parlato della Brexit, al centro di “England Lost”, una delle due splendide ultime canzoni impegnate pubblicate da solista.
La scaletta del concerto è formidabile e comprende i più grandi successi della band che incantano un pubblico costituito da persone di ogni età. La canzone votata dal pubblico italiano, tra cui non figura Puccini come sottolineato dal frontman, è l’animata “Let’s spend the night together”.

Con “You can’t always get what you want” parte la fase centrale del concerto, che include anche “Tumbling dice” e i due brani blues “Just your fool” e “Ride ’em on down”, contenute nell’album di cover dell’anno scorso “Blue & Lonesome”.

Arriva poco dopo una chicca: Mick dice in italiano di sentirsi “un po’ romantico” e attacca “Con le mie lacrime”, versione italiana della canzone degli anni Sessanta “As tears go by”: momento bello ma non memorabile dal punto di vista dell’esecuzione.

Parte poi “Paint it black” e una strepitosa “Honky tonk women”. Segue la parte in cui Richards ruba la scena a Mick per farlo rifiatare. Dicendo “Alla faccia di chi ci vuole male” e felice come un bambino nei paesi dei balocchi, Keith canta prima “Happy”, in una versione un po’ caotica, seguita da “Slipping away”.

Risale Jagger sul palco e viene eseguita una trascinante “Miss you” in cui anche il bassista Darryl Jones e il sassofonista Karl Denson possono mettere in mostra tutta la loro bravura.

Si arriva così velocemente al clou del concerto. Una sequenza di brani rock storici: da “Street fightin’ man” – al cui termine Jagger chiede in inglese se sta andando tutto bene e chiosa con un “che cazzo!” – alla travolgente “Sart me up” per arrivare poi alle due perle “Brown sugar” e “Satisfaction”, vera canzone manifesto dalla band inglese.

Il concerto si chiude sulle note di un’emozionante “Gimme shelter” in cui Jagger duetta con la bella e brava Sacha Allen, cantante e corista, e con “Jumping jack flash” che accompagna lo spettacolo pirotecnico finale.

Mick Jagger, in forma strepitosa, ha dimostrato ancora una volta di essere uno dei più grandi frontman di tutti i tempi e, tra quelli viventi, di essere all’altezza, per grinta ed energia, del più giovane Bruce Springsteen, classe 1949.

Una nota conclusiva va fatta sull’organizzazione del concerto, che ha generato in questi giorni una girandola di polemiche. Al di là del futile campanilismo - a Pisa si sono divertiti per le critiche rivolte agli organizzatori del concerto (invidia?) - e di sterili lamentele, ci sono però degli aspetti oggettivi evidenti a tutti i presenti. 56 mila persone su quel prato sotto le mura lucchesi erano davvero troppe. La location non presentava neppure una superficie piana, con diversi avvallamenti e la presenza di un canale. Inoltre migliaia di persone del prato B non potevano seguire il concerto nemmeno guardando i giganteschi maxi schermi. Molti spettatori sono stati così costretti a seguire il live dalla strada laterale, via di fuga degli spettatori del prato in caso di emergenza.  Il deflusso poi a fine concerto è stato completamente guidato dal caso
(si veda la foto qui accanto in cui un’ambulanza cerca di avanzare attraverso la folla). Per fortuna tutto si è svolto nei migliori dei modi, ma rimane il dubbio che, in caso di qualsiasi piccolo imprevisto, la serata sarebbe potuta divenire problematica sul piano gestionale e della sicurezza.


(Foto di Nicola Iacovino)


  

sabato 14 ottobre 2017

“Dunkirk”: Cristopher Nolan riscrive il genere bellico-storico




A tre anni dal poco convincente “Interstellar”, il cineasta britannico Cristopher Nolan torna con “Dunkirk” dietro alla macchina da presa per portare sul grande schermo una delle pagine di storia più importanti della Seconda guerra mondiale: l’epica evacuazione delle truppe alleate - britanniche e francesi - dalla città portuale di Dunkerque.

Tra il 24 maggio e il 4 giugno 1914, a seguito dello sfondamento tedesco del fronte francese, 400 mila soldati del Regno Unito, Belgio e della Francia furono protagonisti della grande operazione di reimbarco chiamata “Dynamo”, portata a termine grazie all’utilizzo di numerose imbarcazioni civili inglesi. Una vicenda che permise al Regno Unito di salvare il proprio esercito e di continuare la resistenza a oltranza contro l’espansione nazista, segnando una pagina memorabile nella storia nazionale britannica.

È la prima volta che il geniale cineasta si cimenta con un fatto storico e lo fa a modo suo, riscrivendo completamente il genere del “war movie” e creando un’opera con la quale i futuri registi del genere bellico e storico si dovranno per forza di cose confrontare.

Nolan, che firma ancora una volta la sceneggiatura, decide di raccontare questo importante episodio storico da tre punti di vista diversi: terra, mare e aria. Inoltre, le vicende dei personaggi seguiti da vicino, accadono in tre archi temporali diversi: una settimana (i soldati in attesa di tornare a casa), un giorno (la durata della traversata dell’imbarcazione civile Moonstone) e un’ora (la missione di volo del pilota di uno Spitfire).

Al centro del film, straordinario dal punto di vista della fotografia (è consigliata la visione in Imax per gustare le scene girate in 70 mm), si trova lo scorrere del Tempo. Una vera e propria ossessione per Nolan che, sul Tempo, ha costruito numerosi suoi capolavori come “Memento” e “Inception”. Il suo fluire inesorabile, verso la salvezza o la morte, è chiaramente scandito dal suono di un ticchettio di sottofondo.

Nolan è stato molto abile nel montaggio, incastrando tra loro i tre piani narrativi e temporali come delle tessere di un puzzle e creando un ritmo veloce, tipico dei film thriller, in cui suspense e tensione la fanno da padrona.

I dialoghi sono quasi del tutto assenti in “Dunkirk”, ma il film è notevole sul piano emotivo grazie all’attenzione per i dettagli: paura, frustrazione e solitudine vengono comunicate agli spettatori tramite i volti dei protagonisti. Il pubblico si sente completamente immerso nei tre scenari bellici - terra, cielo e mare - grazie anche all’eccellente bravura tecnica con cui sono state girate le varie sequenze d’azione (straordinarie quelle aeree).

Il cast, composto sia da attori noti (Tom Hardy, Kenneth Branagh, Mark Rylance e Cillian Murphy) sia da giovani esordienti (da Fionn Whitehead a Harry Styles, cantante del gruppo degli One Direction), è completamente calato nella parte, anche se qui erano richieste capacità espressive più che bravura nella recitazione.

Nolan, al suo decimo lungometraggio, è riuscito a firmare un grande film, raccontando la (dis)umanità della guerra senza adoperare né la retorica (molto ricorrente nel genere storico-bellico), né i dialoghi, né il sangue. Qualcuno potrà interpretarlo come un film patriottico, pro Brexit, leggendo magari tra le righe il messaggio che “la Gran Bretagna ce l’ha fatta sempre da sola”, ma a nostro avviso è fuorviante trovare una chiave di lettura politica in un capolavoro del genere. 

VOTO: