Questa trasposizione cinematografica di Martin Scorsese del libro La straordinaria invenzione di Hugo Cabret scritto da Brian Selznick è qualcosa di semplicemente straordinario. Non mi riferisco agli effetti speciali – io ho visto il flim senza il 3D – ma alla bellezza e all’intensità della storia rappresentata, che offre agli spettatori, sia neofiti che cinefili, numerose emozioni.
Attraverso un racconto di fantasia con protagonista un orfano
di nome Hugo Cabret, innamorato del cinema e dei meccanismi meccanici che fanno
funzionare gli orologi, la pellicola racconta la magia della Settima arte
parlando in modo originale di uno dei suoi più importanti protagonisti: George
Méliès, interpretato da uno straordinario Ben Kingsley,
inventore del cinema delle illusioni e degli effetti speciali (tra tutti il
fermo macchina). Una specie di biopic mascherato dunque, che a ritroso
ripercorre la straordinaria vita del regista come una lunga sequenza di enigmi
che Hugo Cabret e la sua amica Isabelle, adottata dai coniugi Méliès, devono
risolvere per ricostruire l’intero puzzle e far funzionare un complicatissimo
automa meccanico.
Ma a mio parere il film vola anche più in alto. Infatti non
solo parla della bellezza di vedere i film (commuovente la scena in cui
Isabelle assiste per la prima volta a una proiezione e Hugo la fissa per
scorgere le sue emozioni) e di farli attraverso le sequenze quasi da
documentario che ripercorrono la carriera di George Méliès (accuratissima dal
punto di vista storico), ma manda anche un messaggio più profondo: come ogni
ingranaggio ha un compito specifico per far funzionare un meccanismo, allo
stesso modo ogni persona ha un dono e quindi un ruolo nella società, anche se
non lo sa o l’ha dimenticato. Ecco allora che la storia di Hugo Cabret si
ricongiunge a quella di George Méliès: il primo è abile nell’aggiustare le cose
rotte (e le persone), l’altro è un produttore di sogni, il mago del cinema, che ha deciso di
dimenticare il passato e di trasformarsi in un triste venditore di giocattoli
incapace di emozionarsi per le cose belle. Se poi si considera che Méliès fu
nella realtà capace di costruirsi da sé un proiettore dopo aver visto le
apparecchiature dei fratelli Lumière (episodio citato bene nel film) è facile
vedere l’affinità tra i due personaggi: Hugo Cabret non è altro che un Méliès
bambino, affascinato dal cinema e capace di sorprendersi perché dotato di uno
sguardo innocente.
Giusti i cinque Oscar con cui Hugo Cabret è stato premiato, soprattutto meritatissimo il
riconoscimento ai nostri grandi scenografi Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, arrivando così a
pari merito con The Artist per numero
di statuette. Tuttavia questo lavoro di Martin Scorsese si pone a un livello
superiore rispetto all’opera di Michel Hazanavicius in quanto dopo cent’anni ha
fatto rivivere la magia del cinema di Méliès, presentandolo anche alle nuove
generazioni e spiegando magistralmente come la Settima arte sia la fucina dei
sogni.
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