Non è facile riassumere in poco meno di due ore e mezza una carriera trentennale in un solo colpo. Gli U2, tornati a Milano dopo il Vertigo Tour del 2005, ci sono riusciti il 7 luglio a San Siro, alternando in modo armonioso le canzoni del nuovo album e quelle degli ultimi anni con il repertorio classico degli anni d’oro. Uno spettacolo puro, in cui alla musica (pathos) si alternano effetti scenici all’avanguardia e momenti di riflessione politica (logos), senza pause: la band resta sempre visibile sul palco e Bono è sembrato in ottime condizioni fisiche e canore (alla faccia dei molti che lo danno già per finito!).
Prima
di tutto bisogna parlare del palco su cui la band irlandese si esibisce:
un’opera tecnologica chiamata “The Claw”, poiché è costituita da quattro
artigli verdognoli alti 40 metri l’uno che culminano in una guglia alta 50
metri. Bono l’ha definita «una via di mezzo fra una stazione spaziale e il
fiore di un cactus». “The Claw” è insomma una meraviglia pura, che sembra
venire dal futuro; rimarrà sicuramente nella storia dei concerti rock. Ma la
scenografia non finisce qui. Il palco è aperto su 360 gradi (da qui il nome del
tour), visibile da tutti i lati dello stadio. Per questo motivo le cifre degli
spettatori sono da record: un sold out
assicurato da 77 mila spettatori (anche se personalmente ho visto molti posti
liberi al terzo anello). La band suona
su una piattaforma rotonda da cui tramite due ponti mobili si può accedere a
una passerella circolare, vero land-mark
degli U2, che racchiude pochi fortunati spettatori del “prato”. I quattro
artigli inoltre sorreggono un maxi-schermo Hd a tronco di cono pendente dalla
volta centrale, visibile anche questo a 360 gradi.
Il
concerto rock è un rituale collettivo che produce negli spettatori un effetto
catartico di lunga durata. I “preti” di questa celebrazione sono Bono, The
Edge, Larry Mullen e Adam Clayton. Il mezzo è la musica. Il tempio di questa
religione è lo stadio. L’altare è il palco. Gli U2 vanno in scena verso le
21,10. Il rito può cominciare. Si parte con una quaterna di canzoni estratte
dall’ultimo loro lavoro: le poco riuscite anche dal vivo Breathe e No line on the
horizon, seguite poi dalle hit Get on
your boots e Magnificent. Un
inizio non molto brillante a dire il vero, ma da qui in poi lo spettacolo
inizia a decollare. Infatti, come si sa, i concerti di Bono e compagni non sono
solo un concetrato di rock ed effetti scenici, ma si caratterizzano anche per i
momenti di riflessione politica. Con la traduzione simultanea in italiano da
leggere sul megaschermo, Bono dice: «Sono
tempi difficili e molta gente è senza lavoro. Non possiamo risolvere il
problema questa sera, ma possiamo darvi la più bella notte della vita. Quando
il futuro è incerto sono i momenti a
essere preziosi». Uno di questi è l’esecuzione subito dopo di una grintosa Beautiful day che scuote l’intero
stadio.
Occorre
dire che se la visuale è ottimale anche dal terzo anello, il suono no, forse
per colpa del “silenziatore” imposto dal Comune di Milano sugli 80 decibel. Fuori
dallo stadio si legge: «la musica non è rumore». A tratti scompare
completamente il suono della band e rimane solo il coro della gente. Nonostante
questo però, la parte centrale del concerto (la migliore), si concentra sul
repertorio classico degli U2. Si comincia con la splendida ballata folk I still haven’t found what I’m looking for
, che sfuma in Stand by me. Segue l’omaggio a Michael Jackson, i
cui funerali si stanno celebrando negli States contemporanemente al concerto
degli U2: Bono gli dedica la sublime Angel
of harlem, a cui vengono attaccati in coda alcuni passaggi di Man in the mirror e Don’t stop till you get enough. Segue poi il festeggiamento del
compleanno della filgia di Memphis Eve, che sale sul palco. Forse è solo il
pretesto per suonare Party girl, una
delle prime canzoni degli U2. Segue subito dopo la ruggente Vertigo che fa esplodere lo stadio.
Vengono poi eseguite la suggestiva The
unforgettable fire (che mancava da molti anni), la leggerina In a little while, la nuova I’ll go crazy if i don’t go crazy tonight in cui Mullen lascia la batteria
e pesta con forza su un bongo.
Spettacolare
l’esecuzione di City of blinding lights,
durante la quale le luci di color rosso acceso danno vita a uno spettacolo
unico, facendo sembrare lo stage una
vera astronave. Una delle canzoni migliori è sicuramente la celeberrima Sunday blody sunday, dedicata ai
rivoltosi iraniani (il megaschermo diventa verde con scritte in arabo).
Originale anche il karaoke collettivo con la canzone Unknown caller estratta dall’ultimo album: le parole compaiono a
ritmo sul megaschermo, producendo l’effetto di creare un coro poderoso nel
ritornello. Lo stadio si fa sentire anche per l’esecuzione di Pride e di Where the streets have no name, due tra le canzoni migliori del repertorio
degli U2. Si apre poi una nuova parentesi di riflessione politica: dopo Mlk, viene dedicata Walk on e una sfilata di 50 fan dotati di maschere a Aung San Suu
Kyi, leader dell’opposizione birmana (in Birmania è al potere uno dei regimi
peggiori della Terra) e premio Nobel per la pace. Bono a buon diritto aspira da
anni a questo riconoscimento; speriamo che prima o poi lo ottenga, se lo
meriterebbe. Si passa poi a parlare dell’Africa: parte un video del vescovo
antiapartheid Desmond Tutu, un altro premio Nobel per la pace, che sostiene la
campagna One di Bono a sostegno dei paesi poveri.
Lo
spettacolo continua con una bella esecuzione di With or without you. Verso la conclusione dello show, la musica si
ferma per consentire al carismatico Bono di parlare del nostro Primo Ministro.
«Il vostro Primo Ministro non ha
mantenuto le promesse (ndr sull’Africa), voglio che si sappia che non gli
manchiamo di rispetto. Gli italiani hanno dato tanti doni: Il Rinascimento, le
canzoni di Puccini, Pavarotti e Jovanotti, ma nei prossimi giorni al G8 il
vostro leader deciderà quale posizione prendere per i paesi poveri e i più
vulnerabili del mondo. Dovete dirglielo, pensate che debba fare quello che ha
promesso: è ancora in tempo, noi aspettiamo. Io scrivo canzoni, lui scrive
Storia. Non è troppo tardi. Questa canzone la dedichiamo al vostro Primo
Ministro». E tra gli applausi generali della gente, parte One, una canzone davvero magnifica.
Si
giunge così alla conclusione del live, la resa dei ragazzi di Dublino: l’ultima
canzone eseguita è Moment of surrender,
un gospel cantato con grande pathos da Bono, durante il quale The Edge si
sposta a suonare una tastiera. Una specie di preghiera conclusiva del rito
appena celebrato, che ha liberato i cuori e le menti dai pesi del vivere
quotidiano. Una catarsi pura e salvifica, che si completa con l’Ave Maria che accompagna gli U2 ai
propri camerini. Chiudo questo post con le parole di Bono che spiegano bene la
concezione che gli U2 hanno di concerto rock e della loro musica.
«I
concerti degli U2 sono momenti di guarigione, un risciacquo dell’anima. é ciò che io intendo per potenza del
rock’n’roll. La nostra musica non è per l’abbandono, per la resa, per la morte
o per spingere al suicidio; non è la colonna sonora di un esaurimento nervoso. è musica per risvegliare la gente e
spingerla a lottare, non con mazze e catene, ma con la volontà»-BONO
(già pubblicato il 18/07/2009 su Mondoattuale)
(già pubblicato il 18/07/2009 su Mondoattuale)
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