Quando il cinema riesce a trasmettere emozioni
vere agli spettatori, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, ha assolto
il suo compito. The Artist, scritto e
diretto dal francese Michel Hazanavicius,
riesce magnificamente a unire forma e contenuto raccontando una storia sul
cinema muto senza l’utilizzo del parlato. Nell’era del 3D, che spesso offre
film davvero brutti, la scelta di fare un film “muto” poteva risultare
azzardata, una roba da matti! Invece The
Artist, dopo essere stato presentato con successo durante la scorsa
edizione del festival di Cannes, continua a riscuotere giustamente un grande consenso
sia da parte del pubblico che dalla critica. La galoppata trionfale prosegue
ininterrottamente, in attesa di conoscere il numero di Oscar che verranno
assegnati a questa splendida opera, in nomination in ben dieci categorie.
Il film funziona alla perfezione: ogni suo
elemento sembra essere al posto giusto. Partendo dalla storia narrata che
mescola il dramma del protagonista Vincent a momenti di pura comicità e di
passione amorosa. Utilizzando tutte le tecniche del cinema degli
anni Venti, The Artist non è né un
film per cinefili, né un omaggio nostalgico a un’epoca passata che ormai appare
lontanissima dal presente. Anzi tutt’altro, il film è attuale perché attraverso
una storia ambientata all’epoca del muto riesce a raccontare l’essenza del fare
cinema, presentando anche gli aspetti negativi di questo mondo che persistono
ancora oggi: la facilità con cui un attore perde l’affetto del proprio pubblico,
il cinismo delle major nel trasformare un’arte in un puro business, l’attesa
del riscontro del pubblico in sala e le invidie esistenti tra le star.
Tutto il cast si dimostra all’altezza dell’ardua
impresa, ossia giocare tutta la recitazione sull’espressività del volto e dei
gesti, soprattutto gli attori francesi: da Jean Dujardin (Vioncent) a Bérénice Béjo (Peppy Miller) fino ad
arrivare a John Goodman (nella parte del produttore Al Zimmer). Mancando i
dialoghi parlati, la colonna sonora fa per forza la parte del leone in questa
pellicola, svolgendo chiaramente una “funzione empatica” per accentuare i
diversi momenti della storia, che alterna momenti più drammatici a parti più
spensierate. Ottima anche la fotografia che sublima l’estetica del bianco e
nero.
Insomma, The
Artist sembra dirci che dagli anni Venti a oggi il cinema non sia poi
cambiato così tanto, perché resta costante il bisogno del pubblico di piangere
e di ridere, ossia di ricevere delle emozioni autentiche.