sabato 28 gennaio 2012

Alice in Wonderland: poche le meraviglie

  
Tim Burton rivisita il masterpiece di Lewis Carroll, uno dei più grandi scrittori dell’età vittoriana e uno dei fondatori del genere letterario “nonsense”. Chi si fosse fatto delle aspettative troppo grandi sull’ultima fatica del maestro del gotico rimarrà deluso (ed io sono tra questi). Infatti, nonostante l’utilizzo del 3D il film presenta notevoli lacune, sia contenutistiche che formali.

Il film parte bene, anche se nelle primissime sequenze, girate in ambienti naturali e con attori in carne ed ossa, il 3D non serve a niente. Segue poi la bellissima sequenza in cui Alice cade nella tana del Bian Coniglio: si ha davvero l’impressione del vuoto e delle vertigini grazie agli occhialini. Ma le sorprese finiscono sostanzialmente qui, ossia quando inizia la parte della storia ambientata nel Sottomondo, che dovrebbe mettere in risalto tutto l’estro artistico di Burton.

Analizzando il plot si può dire che manchino del tutto i colpi di scena: il fatto che Alice sia una sorta di messia incaricato di liberare il Sottomondo dal regno della Regina Rossa rovina tutta la storia, perché fin dall’inizio si capisce che si arriverà al benedetto giorno X in cui Alice riuscirà a sconfiggere le forze della usurpatrice, signora non solo delle carte di cuori, ma anche di alcune creatura mostruose (un grosso cane e una specie di drago). Quindi, grazie all’espediente dell’oracolo, che incanala la storia in una certa direzione, il finale del film è già annunciato e scontato.

Un altro aspetto negativo è quello di aver creato due poli antitetici e speculari: uno del Bene (incarnato dalla Regina Bianca, signora di Marmorea), l’altro del Male (il regno della Regina Rossa). Manca del tutto una “zona grigia” tra questi due estremi; non ci sono nemmeno personaggi dinamici, perché dall’inizio alla fine del film ognuno di essi è già schierato da una parte (i cospiratori) o dall’altra (gli scagnozzi della tiranna). Nessuno, nemmeno Alice, subisce un travaglio interiore che permetta il passaggio da uno schieramento all’altro. In breve: tutti i personaggi sono statici. Tutta la storia fila liscia senza che ci sia alcuna sorpresa nello spettatore.

Anche le scelte estetiche non sono state delle migliori. Si pensi ad esempio ai costumi: l’unico look un po’ estroso è quello del Cappellaio Matto, interpretato dall’istrionico Johnny Depp, vero attore feticcio di Tim Burton. Si poteva per esempio scegliere un’estetica più barocca per i costumi. Anche le scelte cromatiche delle scenografie non sono sbalorditive; su questo aspetto molto meglio è stato fatto in Avatar. Si pensi poi alla mancanza di idee per raffigurare il castello della Regina Rossa, chiaramente ispirato dal logo della Disney. Poca attenzione è stata data anche al ruolo della musica: conoscendo i trascorsi di Tim Burton e alla luce del cartone del 1951, ci aspettava almeno qualche parte cantata.
Molti dei personaggi descritti nei due libri di Carroll e ben raffigurati nel cartone animato vengono qui presentati in maniera scialba: lo Stregatto (che somiglia al Gatto con gli stivali della saga di Shreck) il Brucaliffo (che trova poco spazio nella storia) e gli opachi Pinco Panco e Panco Pinco. Per non parlare poi di un’anemica Alice. L’unico a salvarsi è Depp, grazie alla sua abilità interpretativa e camaleontica. Davvero uno dei più grandi attori contemporanei.

Arriviamo ora a parlare del finale, forse la parte più scadente dell’intero lavoro: una battaglia su una scacchiera tra il Bene (gli scacchi della Regina Bianca) e il Male (le carte, il fante e il mostro della Regina Rossa), che viene decisa dal duello tra Alice, che indossa un’’armatura alla Giovanna D’Arco e una spada tipo Excalibur, e il drago infernale. Questo combattimento ricorda molto quello epico tra Gandalf e il Barlog descritto nel libro del Signore degli anelli e rappresentato nel film La compagnia dell’anello. Che cosa c’entra con Alice tutto questo proprio non si comprende.

In definitiva, il film non riesce a offrire le suggestioni che invece riusciva a regalare l’omonimo film d’animazione del 1951, né con le immagine, né con la musica. Nonostante gli effetti 3D (poco esplorati in questa pellicola), non si è creata un’atmosfera idonea per raffigurare la storia immaginifica creata dalla fantasia di Carroll. In altre parole: il film non riesce a trasmettere la magia della favola. Tim Burton doveva osare di più, magari puntando su effetti visivi più psichedelici (si pensi che manchi un qualsiasi riferimento ai funghetti grazie ai quali Alice vede le cose da una prospettiva diversa) o enfatizzando di più gli aspetti macabri e surreali (come il ponte di teste sul fossato del castello). Pare quindi giusto domandarsi: non è che il regista sia sceso a compromessi con la Disney per realizzare questo lavoro, visto i trascorsi poco felici con la major in età giovanile come disegnatore? Infatti lo stile e la poetica tipiche del maestro si scorgono a fatica in questo lungometraggio.

In un duello al cardiopalma tra le due pellicole più attese di questo inizio 2010, ossia Avatar e Alice, il primo ha sicuramente stupito di più. Ma sono sicuro che dopo questo tonfo, inaspettato e fragoroso, Tim Burton riuscirà a farsi perdonare con nuovi strepitosi lavori (e speriamo capolavori).

VOTO: 


(già pubblicato il 15/03/2010 su Mondoattuale)


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