domenica 29 gennaio 2012

Il discorso del re: una voce al servizio della nazione


Quanto valgono le parole se sei chiamato a guidare una grande nazione come il Regno Unito alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale? Intorno a questa domanda ruota la storia raccontata nell’opera Il discorso del re del regista inglese Tom Hooper, basata sulla sceneggiatura del veterano David Seidler (vittima lui stesso di balbuzie). Si tratta della tormentata storia personale del futuro re d’Inghilterra Giorgio VI (interpretato magistralmente da Colin Firth), che, seppure afflitto da balbuzie, si trovò a guidare inaspettatamente una nazione dopo l’abdicazione del fratello.

Negli anni Trenta, con la piena affermazione della società di massa, i discorsi pubblici dei capi di Stato si trasformano gradualmente in eventi da gestire efficacemente sul piano della comunicazione per tenere unito un popolo e creare consenso attorno alle scelte politiche. Il principe Bertie, figlio di re Giorgio V, fallisce il suo primo discorso alla radio nel 1925 durante la cerimonia di chiusura a Wembley della Empire Exhibition. La radio, unico medium di massa di quell’epoca, consente di far entrare i leader politici direttamente nelle case dei cittadini grazie alle parole trasmesse via etere. Se prima a sentire la voce del sovrano erano solo pochi “fortunati” che si trovavano nel luogo della cerimonia pubblica, adesso tutti i cittadini diventano i potenziali destinatari del messaggio. E la famiglia reale, come una ditta qualsiasi, deve imparare a sfruttare il nuovo mass medium per continuare a governare col consenso del popolo.

Per questi motivi Bertie, su insistenza della moglie (Helena Bonham Carter), si convince a curare la sua balbuzie recandosi da Lionel Logue (Goeffry Rush) un logopedista australiano sui generis, ex attore, con cui instaurerà un lungo e profondo rapporto di amicizia che durerà tutta la vita. In realtà i problemi del principe nascondono ben altri disagi, legati alla freddezza con cui i genitori l’hanno cresciuto e alla costrizione a usare la mano destra invece che la sinistra. Quando il protagonista si reca nello studio di Lionel si sente protetto e, in diverse occasioni, sembra vivere qualche attimo di felicità, come se il suo terapista si trasformasse a tratti nel padre che non ha mai avuto. Ma fuori si sente a disagio, soprattutto quando è chiamato a “recitare” una parte che appare al di fuori delle sue possibilità: quella del re. Questo contrasto tra dentro e fuori è evidenziato abbastanza chiaramente dalla diversità della luce e dei colori dei due ambienti: lo studio di Lionel è inondato dalla luce ed è tappezzato di dipinti colorati non ben decifrabili; l’ambiente esterno invece è plumbeo e sempre avvolto dalla nebbia, quasi a simboleggiare la situazione di disagio interiore vissuta da Bertie nel mostrarsi in pubblico. La pellicola  termina con la prova più difficile per Bertie: il discorso alla radio del 1939, con cui  dichiara ufficialmente l’entrata in guerra del Regno Unito contro le armate naziste di Hitler, grazie al sostegno dall’amico-assistente Lionel.

Il film di Hooper scorre via piacevolmente, grazie a una linea narrativa semplice e lineare (forse anche troppo). Come dicevamo all’inizio, la messa in scena è minimale, frontale e spesso con macchina fissa; in sintesi mancano i virtuosismi da parte del regista. Tutto il film è giocato quasi esclusivamente sull’interpretazione degli attori principali. Se Firth e Rush non deludono – e a Fith è andato meritatamente un Oscar come miglior attore - sembra invece poco convincente la prova di Carter nei panni della futura regina Elisabetta, storicamente nota per avere un carattere vivace. Alla lunga la storia sembra diventare ripetitiva, raccontando i successi e le ricadute cicliche del protagonista, fino alla prova finale del discorso alla nazione per radio.

In conclusione Il discorso del re è sicuramente un buon film, ma non meritevole di vincere ben quattro statuette all’ultima edizione degli Oscar, soprattutto per le categorie “miglior film” e “miglior regia”. Come è tradizione, il verdetto della notte degli Oscar delude molto spesso.

VOTO: 


(già pubblicato il 15/03/2011 su Mondoattuale)

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