Opera prima del regista Giorgio Diritti, uscita nel 2005, ma distribuita nelle sale
italiane solo dal maggio 2007. Anche se non è molto recente, ho deciso di
parlarne lo stesso per rendere giustizia a un film che avrebbe meritato di
essere più pubblicizzato e di avere maggiore successo da parte del pubblico. Il
film è girato come un documentario e gli attori sono quasi tutti non
professionisti (a parte Thierry Toscan e Alessandra Agosti).
è la
storia di un pastore francese di nome Philippe Heraud che decide di emigrare
dai Pirenei (dove stanno aprendo una centrale nucleare) verso le Alpi occitane,
in un paesino chiamato Chersogno. Una volta trovata casa nel piccolo paese
ormai spopolato per quasi tutto l’anno (tranne d’estate, quando ritornano
coloro che sono emigrati a Torino), il pastore francese si trasferisce con la
bella moglie e i suoi tre figli. Inizialmente l’accoglienza della popolazione
locale è buona, anche perchè ormai il paese è abitato solo da anziani. Però i
“forestieri” appaiono subito come dei diversi: sono atei (non partecipano alla
processione del paese), producono qualcosa di prezioso che prima non c’era
(dell’ottimo formaggio che fa guadagnare relativamente bene rispetto alla gente
locale) e non parlano l’occitano (lingua composta dal dialetto piemontese e
francese). Insomma, la famiglia Heraud incontra gravi problemi d’integrazione.
Soprattutto, come sempre, ciò che dà più fastidio agli abitanti del posto è il
fatto che i nuovi arrivati usino le “loro” risorse locali (legname, pascoli) per
ricavare un profitto personale. Infatti, il pastore francese non conosce gli
“usi” del luogo consolidatesi nel corso del tempo: non sa dove comincia e dove
finisce il prato o la zona di raccolta di legna delle varie famiglie. L’attrito
con gli abitanti cresce allora sempre di più, fino a esplodere. Iniziano così a
girare delle malelingue sui nuovi arrivati: sulla moglie (oggetto degli sguardi
e dei desideri dei maschi del paese), sul modo in cui Philippe tiene le bestie
(considerato antigienico). Cominciano anche i dispetti, in un crescendo di
tensioni che sfocia in un battibecco tra il protagonista e una vecchia signora
che, cadendo accidentalmente, racconterà poi ai compaesani di essere stata
picchiata dallo stesso pastore. Ormai quest’ultimo, escluso e sull’orlo di essere
espulso dalla comunità che lo ospita, si arrende e decide di tornare da dove
era partito con la sua famiglia, completando il giro aperto all’inizio del
film. Come un vento che fa un giro su sè stesso...
Il film, costato solo
450.000 €, è un vero e proprio capolavoro, sia sul piano formale (è di un
realismo impressionante, grazie anche al supporto della musica), sia su quello
dei contenuti. Su questi ultimi si potrebbe scrivere un libro, visto che il
film presenta molti temi antropologici, sociologici e storici. Tra i tanti, ne
elenco alcuni: integrazione/esclusione, il controllo sociale e sessuale,
tolleranza/intolleranza, circolarità dei flussi migratori. Va inoltre detto che
questo è il primo film italiano in lingua occitana (ci sono i sottotitoli in
italiano). è stato autoprodotto
e, pur ricevendo numerosi premi all’estero, è uscito nelle sale italiane solo
nel maggio 2007 e credo che pochi l’abbiano visto. Come al solito, le case di
distribuzione italiane concentrate sui cine-panettoni e sulle commedie di una
comicità becera, non avevano compreso appieno la bellezza, l’originalità e
l’importanza di questo film, vero e proprio ritratto di una parte di realtà
italiana poco conosciuta che servirà anche ai posteri come fonte storica
diretta di un mondo dalle radici antichissime che rischia di sparire.
(Già pubblicato il 18/01/2009 su Mondoattuale)
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