domenica 22 gennaio 2012

W.


La vita di George W. Bush vista da Oliver Stone.

                                     L’iter travagliato del film.

    Si è parlato a lungo di questo film e finalmente lo si è potuto anche vedere. Dopo numerosi problemi di produzione (i 25 milioni di dollari sono stati raccolti in Germania, Australia e Hong Kong) e di distribuzione (sia negli USA che in Italia), W. è stato trasmesso dal canale televisivo La7 lunedì 19 gennaio, il giorno prima dell’insediamento del neo-eletto Barack Obama. Se negli USA le difficoltà sono state enormi (nessuna major l’ha voluto finanziare), non minori sono state quelle in Italia. Il film è scomodo, perchè parla di un uomo che fino a pochi giorni fa era al comando della maggiore potenza planetaria. Di riflesso anche in Italia, dove Bush jr. ha dalla sua parte un amico molto influente (sapete tutti chi è), l’opera di Oliver Stone è stata rifiutata al Festival di Roma (dove era previsto che debuttasse nel nostro Paese), si dice per “ordini” provenuti dall’alto. Invece, W. ha trovato accoglienza alla 26esima ediazione del Torino Film Festival, dove è stato presenato il primo giorno della manifestazione (21 novembre 2008).
 Il film
   Il film narra la vita di Gerge W. Bush dai 20 ai 58 anni di età. La storia è costruita come un’altalena continua tra il presente (il periodo tra il 2002 e il marzo 2003 in cui si sta decidendo se e come muovere guerra all’Iraq di Saddam Hussein) e il passato personale di Bush. Numerosi quindi sono i flashback (credo un buon 50% della durata del film) che si alternano alle scene che riguardano invece i giorni della “disastrosa” decisione.

   Il passato di Bush jr. è pieno di ombre: dipendenza dall’alcool, carriera universitaria non brillante, arresti vari, nessuna voglia di lavorare, menefreghismo. L’unica passione sembra quella per il baseball. Ma il tema-chiave del film è il rapporto tra Bush jr. e suo padre. Quest’ultimo predilige l’altro figlio, Jeb, più brillante e più serio, mentre riserva per George solo parole dure e pungenti contro il suo stile di vita avaloriale. Da consegnare alla storia del cinema la frase in cui Bush-padre dice al figlio George: “Credi di essere un Kennedy?”. Il difficile e burrascoso rapporto col padre (chiamato in privato Signore) segna profondamente la storia e la vita di Bush jr. Ed è questa, come dicevo, la chiave interpretativa che Oliver Stone ci ha voluto suggerire. Infatti, sembra che la guerra in Iraq, avvallata dal vicepresidente Dick Cheney, sia una specie di sfida rivolta al padre, incapace secondo lui di aver concluso la Guerra del Golfo già nel 1991.

   La svolta della vita di Bush jr. è però la sua conversione improvvisa a 40 anni. Solo così il protagonista esce definitivamente dal tunnel dell’alcool, diventando un vero cristiano fanatico in un gruppo evangelico guidato dal telepredicatore Billy Graham. La rinascita di Bush jr. è la premessa per cominciare la carriera politica. Viene chiamato dal padre eletto presidente nell’ ‘88. Poi, diventa governatore del Texas (1995-2000). Infine, vince la corsa alla Casa bianca nel 2001.

     Una volta eletto presidente, Bush jr. continua a interessarsi principalmente al baseball (possiede infatti una squadra), delegando ai suoi advisors le decisioni più importanti. Questi ultimi, tra tutti i due falchi Cheney (vicepresidente) e Rumsfeld (segretario alla difesa), prenderanno il sopravvento su un presidente sempre più fragile psicologicamente (il comportamento con la moglie Laura è di tipo madre-figlio), che è tormentato nei sogni continuamente dalla figura del padre. L’unico dello staff presidenziale a sembrare più razionale è l’ex-generale Colin Powell (segretario di Stato), che sarà l’ultimo ad arrendersi alla decisione di muovere guerra a Saddam Hussein (salvo poi nel 2003 presentarsi nell’assemblea dell’ONU con prove “inconfutabili” di armi di distruzione di massa dell’Iraq).

  Nell’ultima parte del film, Bush jr. è sottoposto ai giudizi dell’opinione pubblica. Emblematiche due domande a lui rivolte e le relative sue risposte: “Quale posto pensa di avere nella storia?” “Saremo tutti morti là” e “ Qual’è stato l’errore più grande?”- nessuna risposta. Bella anche l’ultima scena, che riprende quella di apertura del film. Bush jr. si trova al centro di una campo da baseball con le tribune dello stadio prive di spettatori. Se all’inizo del film Bush jr. riceveva con successo la palla nel suo guantone, nell’ultima scena la palla lo sorvola e si perde nell’oscurità. Due i probabili significati di questa scena finale: il primo, è il fatto che per tutta la vita Bush ha pensato principalmente al baseball, sua passione prediletta. Il secondo è invece metaforico: la palla che si perde simboleggia lo smarrimento del presidente davanti alla situazione politica e la conseguente perdita di controllo della situazione venutasi a creare dalle decisioni del suo staff.

(se siete arrivati vivi a leggere fin qua, coraggio, manca poco!)


Conclusioni
Chi si aspettava o si aspettasse un film storico, è rimasto o rimarrà deluso. Perchè l’intento del regista è quello di esplorare la personalità del Presidente, non quella di ricostruire gli eventi storici con accurattezza. Anche perchè è presto per fare un’accurata interpretazione storica dell’era di G. W. Bush, visto che le fonti ufficiali disponibili sono ancora scarse.  Per questo motivo manca un qualsiasi richiamo all’ 11 settembre o al modo “rocambolesco” con cui Bush jr. ha vinto le elezioni nel 2000. Le protagoniste assolute del film è la biografia del presidente e la sua mediocrità. L’opera di Oliver Stone è per questo volutamente sobria: i virtuosismi del regista mancano volutamente per dare più spazio possibile alle vicende grottesche del protagonista, interpretato magistralemente da Josh Brolin.

Il film a tratti diventa comico-grottesco: per esempio, quando Bush jr.,davanti alla tv, sta per morire di soffocamento perchè gli è andato di traverso un pezzettino di cibo. Ma l’intento satirico è voluto, non è casuale. Il film-pamphlet di Oliver Stone ha infatti l’intento di descrivere la “sconvolgente” storia di un uomo mediocre che si è trovato a governare disastrosamente per otto anni gli Stati Uniti. L’uscita del film negli Usa, nel pieno della corsa alla Casa Biuanca, è stata sicuramente d’appoggio ad Obama.

Nel voto, ho tenuto presente del coraggio dimostrato dal regista a girare un film così scomodo.

VOTO: 

(Già pubblicato il 25/01/2009 su Mondoattuale)

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