Trama:
Gianni Dubois (Silvio Orlando) è un regista di mezza età in piena crisi
creativa. Gli si presenta l’ultima occasione: girare un film con una stella
della televisione (Cristina Capotondi). Mentre le idee continuano a mancare per
il suo nuovo film, Dubois è costretto anche a dirigere una Sacra
Rappresentazione in un paesino toscano: è il risarcimento per i danni causati
agli affreschi di una chiesa per la rottura dei tubi di casa sua. Grazie
proprio a questo imprevisto, il protagonista, aiutato da un amico attore
outsider (Giuseppe Battiston), ritroverà l’ispirazione.
Carlo Mazzacurati torna a dirigere un film dopo il buon lavoro fatto tre anni fa con La giusta distanza, opera nella quale esplorava il giornalismo di provincia e il dramma di un omicidio. Ne La Passione, Mazzacurati racconta, con toni poetici e delicati, la crisi creativa di un regista di mezza età (magistralmente interpretato da Silvio Orlando, unico nel sapere unire i momenti drammatici a quelli comico-grotteschi), che non riesce più a confrontarsi con il mondo del cinema sempre più avvelenato dalle logiche di profitto. Il protagonista è un intellettuale solo, che non viene aiutato e compreso da nessuno, in un’Italia devastata dall’arroganza e dall’ignoranza delle persone che detengono il potere e i capitali. Ci sono infatti diversi personaggi emblematici da questo punto di vista, che sottolineano il baratro in cui è precipitato il nostro Paese in tutti i campi: un produttore cinematografico che pur di guadagnare suggerisce di usare un’attrice televisiva viziata e priva di talento; un sindaco (Stefania Sandrelli) cinico, che rappresenta la bassezza di tutta la classe politica; l’attore – metereologo Abbruscati (Corrado Guzzanti) che si crede di essere talentuoso, ma in realtà è solo una macchietta. Nella solitudine e nel vuoto di idee, Dubois trova aiuto solo in Ramiro (Giuseppe Battiston), che come lui vive la condizione di outsider. Ramiro è infatti un attore di strada ex galeotto, che ama il suo lavoro e non lo fa per arricchirsi o per diventare un divo, ma per redimersi. Palese è la contrapposizione tra lui e gli altri due attori, Abbruscati e l’attrice televisiva, che non hanno sentimenti genuini. È chiaro il riferimento alla crisi del cinema italiano e più in generale del mondo dello spettacolo, in cui mancano persone modeste e di cuore.
Se il film parte con i toni della commedia
più classica, nella seconda parte invece il dramma la fa da padrona. In un
miscuglio tra farsa e realtà, si consuma il destino dei personaggi della
storia, impegnati nella preparazione di una Sacra Rappresentazione pasquale,
che dovrebbe essere un’opera drammatica ai confini del sublime. Invece, grazie
all’interpretazione falsa e grossolana di Abbuscati (un Guzzanti in ottima forma),
sembra trasformarsi in un momento grottesco, di farsa appunto. La situazione
però si capovolge, quando, uscito di scena Abbuscati, subentra Ramiro, deciso a
offrire tutto se stesso per la riuscita dello spettacolo. Immedesimatosi nel
ruolo di Gesù, comincia a subire sulla propria pelle lo stesso calvario, come
se dovesse espiare i suoi reati. La finzione non si distingue più dalla realtà
e l’unica conclusione possibile, è la sua crocifissione (simbolo sempre di
punizione sociale) assieme a due extra-comunitari, mentre si abbatte un
temporale che disperde il pubblico. La catarsi allora si completa: Dubois,
venuto a contatto con una realtà di provincia, popolata da persone vere, e aiutato
da Ramiro che ha dato anima e corpo alla realizzazione della rappresentazione,
riesce a trovare l’idea per il soggetto del suo nuovo film ed esce dal blocco
creativo.
In conclusione, La passione è un bel film, che, come ha dichiarato Mazzacurati,
vuole raccontare un momento di vuoto creativo e di uno sblocco, forse vissuto
in prima persona dallo stesso regista. La scelta degli attori è stata sublime:
Orlando, espressivo soprattutto nei momenti di silenzio, nel ruolo del cineasta
fallito, Battiston nei panni di un outsider dal volto umano, Guzzanti nella
parte di un attore cialtrone e freddo, infine la Capotondi in quella di un’odiosa
attrice di fiction televisive. Va menzionata anche l’ottima fotografia di Luca
Bigazzi. Certo, il tema non è originale e forse c’è qualche sbavatura qua e là
(ad esempio si potevano evitare alcune situazioni comiche banali e in contrasto
con il tono drammatico dominante), ma il lavoro di Mazzacurati non è da
buttare. Il regista padovano, a mio avviso, meriterebbe maggiori attenzioni da
parte dei critici cinematografici, per la sua poetica sempre attenta a
tematiche importanti, ai sentimenti umani e ai personaggi comuni che popolano
la realtà quotidiana.
(già pubblicato il 13/10/2010 su Mondoattuale)
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