Il settimo film da regista di Robert Redford è uscito alla fine del 2007, ma purtroppo, i temi trattati sono
ancora drammaticamente di attualità. Ho deciso di parlarne perchè l’ho rivisto
da poco e, a mio parere, merita di essere analizzato.
La storia narrata in Leoni per agnelli si divide in tre segmenti paralleli e
simultanei, che avvengono nell’arco di una sola giornata. A Washington un
influente senatore repubblicano (Tom Cruise) convoca una giornalista televisiva
(Meryl Streep) per informarla del cambiamento di strategia in corso in
Afghanistan per vincere la guerra. Nel secondo segmento invece, un professore
di scienza politica (Robert Redford) cerca di convincere il suo più brillante
studente a impegnarsi e scegliere per quali valori lottare nella propria vita.
Le due storie precedenti però sono legate in modo diverso alla guerra in
Afghanostan: due ex-studenti hanno deciso di arruolarsi per combattere e stanno
compiendo una missione ad alto rischio contro i Talebani.
La protagonista assoluta
del film è però l’etica. Confrontando il dover essere con l’essere, Redford ci
fornisce una dura critica nei confronti dei poteri personificati dai tre attori
principali: la politica (il senatore), i media (la giornalista) e l’università
(luogo dove si dovrebbe formare la classe dirigente del futuro).
Il senatore Irving appare
come un abile oratore; ma dietro la sua retorica si naconde tutto il cinismo
dell’establishment americano, pronto a sacrificare tanti uomini in una guerra
interminabile da cui si vuole uscire vittoriosi ad ogni costo. A tal fine
Irving vuole usare la giornalista televisiva a fini propagandistici: gli USA
usciranno vittoriosi dall’Afghanistan a qualsiasi prezzo di vite umane,
utilizzando una strategia di guerriglia simile a quella messa in atto dai
Talebani e drammaticamente assomigliante a quella utilizzata in Vietnam (catch and destroy). Proprio questo
cambiamento strategico, farà morire due giovani soldati in una missione in cui
fungeranno da specchietto per le allodole per far uscire allo scoperto i
Talebani.
Dura è anche l’accusa contro il Quarto Potere,
ossia i media. Questi hanno infatti appoggiato in modo acritico le scelte
politiche di W. Bush degli ultimi anni, fornendo i propri mezzi per amplificare
la propaganda del governo americano per raccogliere il maggior consenso
possibile per intraprendere le guerre in Afghanistan e in Iraq. La giornalista
del film però, dopo il colloquio con il senatore Irving, ha una crisi di
coscienza profonda, proprio nel momento in cui sta passando davanti al cimitero
militare in cui riposano i soldati caduti in Vietnam. Si rifiuta così di
fornire lo scoop della giornata al suo cinico direttore perchè capisce che il
giornalismo dovrebbe essere sempre critico nei confronti di quello che dicono i
politici, spesso bugiardi, e non lasciarsi manipolare in modo più o meno
subdolo. I giornalisti dovrebbero essere sempre indipendenti e cercare la verità,
invece che pensare ad andare a caccia scoop magari dannosi o inutili per la
collettività.
Infine, bellissima è anche
la parte che riguarda l’università. Qui un professore di nome Malley (Redford
stesso), cerca di trasmettere i valori fondanti della democrazia durante le lezioni
del suo corso di scienza politica. La sua “missione” è quella di scovare gli
studenti potenzialmente più dotati e trasmetterli un’etica solida che li possa
accompagnare nelle scelte della vita. Due studenti però, un afroamericano e un
latino, nonostante gli eccellenti risultati scolastici, decidono di arruolarsi
per combattere in Afghanistan per essere protagonisti dell’evento storico più
importante per la propria nazione e, non meno importante, per sentirsi a pieno
titolo dei cittadini americani. Infatti, sia Arian che Ernst, appartengono a
due minoranze etniche e provengono da due famiglie povere, quindi vogliono
combattere per acquisire uno status sociale superiore, per orgoglio personale,
e per non sentirsi inferiore a nessuno. Questa è un pò la storia della maggiore
parte dei soldati di ogni epoca storica: ci si arruola o per i soldi o per
acquisire la cittadinanza a pieno titolo (oggi avviene negli USA, ma ciò
avveniva anche nell’età antica). Il prof. Malley però si sente in colpa per
averli diretti verso una strada così pericolosa (egli stesso ha combattutto in
Vietnam) e allora cerca di rimediare con uno studente brillante, ma svogliato.
Quest’ultimo, deve decidere per che cosa lottare nella vita: per i soldi o per
qualcosa di più profondo, mentre i suoi due compagni di corso stanno per essere
uccisi dai Talebani. Alla fine rimarrà ammutolito davanti alla TV da cui
apprenderà che ci sono state delle vittime americane in una missione in
Afghanistan. Il film si chiude con una domanda aperta, rivoltagli da un amico: “Che
ne sarà di te?”.
In conclusione, il film
diretto da Redford (in splendida forma nonostante l’età) è un manifesto
pacifista contro la guerra in generale e, più specifiamente, contro
l’amministrazione Bush (conclusasi finalmente!). In Leoni per Agnelli prevalgono la riflessione etica e le parole su
ogni altra cosa: le immagini e gli effetti speciali sono secondari in questo
film. Infatti il cast è stellare, proprio perchè la recitazione ha un ruolo
assoluto per la riuscita del film. Il messaggio è chiaro: tutti sono in un modo
o nell’altro coinvolti in quello che accade, in questo caso il popolo americano
per la guerra in Afganistan. Quindi tutti devono aprire gli occhi, senza farsi
manipolare dai politici e dai media, spesso servitori dei primi. Insomma, un
bel film politico e storico allo stesso tempo, che fa riflettere a lungo.
(già pubblicato l'1/03/2009 su Mondoattuale)
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