Dopo più di quattro anni
da How to dismantle an atomic bomb gli
U2 tornano con un grande lavoro, dopo una gestazione lunga e difficile. L’unforgettable fire dei tempi d’oro degli
U2 sembra essere tornato a divampare ancora...
Partiamo
dal titolo dell’album: No line on the
horizon. Che significa? The Edge ha dichiarato che è stato ispirato da una
pillola di saggezza zen: simboleggia “l’incertezza di quando si va avanti senza
sapere dove, come quando la linea del cielo e del mare si fondono
nell’infinito”. Ed è proprio ciò che compare nella compertina dell’album: una
foto in bianco e nero scattata dall’artista Hiroshi Sugimoto che immortala un
mare calmo che si perde nel cielo senza una linea netta tra i due. Il titolo
allude dunque all’infinito (della musica?) e alla spiritualità. Ingredienti che
si ritrovano nelle undici tracks dell’album.
La
band irlandese ha registrato il disco in quattro posti diversi: nello
studio-casbah di Fez in Marocco, a New York, agli Olympic Studios di Londra e a
Dublino. Le contaminazioni musicali sono infatti numerose all’interno
dell’album, che è molto eterogeneo. A differenza dei due lavori precedenti, qui
le sperimentazioni e le manipolazioni sonore sono molto sofisticate e diffuse.
Non a caso gli U2 hanno chiamato il trio storico delle meraviglie a produrre i
loro pezzi: Brian Eno, Danny Lanois e Steve Lillywhite. L’apporto di questi tre
“genietti”, collaboratori di lunga data degli U2, è stato senza dubbio
determinante. Soprattutto fondamentali sono state le tastiere di Brian Eno che
sorreggono gran parte delle canzoni dell’album, creando atmosfere sempre nuove
e giochi di suoni che fanno tornare alla mente i lavori dei Pink Floyd.
No line on the horizon è un grande
album: si distacca nettamente dai precedenti, soprattutto i più recenti. Se
infatti in How to dismantle an atomic
bomb la verve rock permeava l’intero album e in All that you can’t live behind
regnava la semplicità, nell’ultimo lavoro la band irlandese sembra
finalmente essere riuscita a trovare un giusto mix tra la sperimentazione e il
rock puro. Dopo i flop degli album sperimentali Zooropa (1993) e Pop
(1997), gli U2 erano tornati nel 2000 alle radici, ossia alla semplicità di un
tempo e all’essenzialità delle canzoni, riemergendo così dal buco nero in cui
erano caduti. Da allora è stato un crescendo continuo sul piano artistico e del
successo commerciale. Oggi, ormai maturi, gli U2 hanno ritrovato una loro
propria sonorità dopo essersi reinventati più volte nel corso della loro
carriera trentennale.
PARTE SECONDA: analisi dettagliata delle
canzoni
Ho deciso di descrivere brevemente
ogni canzone dell’album. Accanto al titolo di ogni traccia troverete la durata,
il voto, un breve commento personale, un aggettivo che la descrive e una citazione
dal testo.
1. No line on
the horizon (4’.12”) La title-track è una canzone rock
veloce, in cui spiccano due elementi: la chitarra di The Edge e la voce
grintosa di Bono. Bello il contrasto con il ritornello, più melodico e lento. Arrabbiata.
“Time is irrelevant, it’s
not linear”
2. Magnificent
(5’.24”) Questa è la perla dell’intero album.
Basta tradurre il titolo in italiano: magnifica, splendida, sontuosa. É una
canzone d’amore bellissima, con una costruzione sonora complicata che fa
ricordare i Pink Floyd. Spiccano le tastiere di Eno e l’assolo di chitarra di
The Edge in tonalità orientali. Magnifica.
“Only love, only love can leave such a mark”
3. Moment of
surrender (7’.24”) é la canzone più lunga dell’album. La
voce di Bono esprime dolore e sofferenza, accompagnata da un organo. É un’altra
canzone splendida, lenta e di genere gospel. Catartica.
“I was speeding on the subway / Through the
stations of the cross”
4. Unknown
caller (6’.03”) Questa è la canzone più difficile da
decifrare. Un tizio in stato di allucinazione sente una voce provenire dal suo
cellulare: è forse Dio lo sconosciuto che chiama? É forse morto il narratore?
Potente il coro. Ottime le tastiere e bello l’assolo di chitarra. Originale
anche il ritmo berbero suonato da Mullen Jr. Un viaggio in un’altra dimensione
sensoriale. Mistica.
“Escape yourself, and gravity [...] Restart and
re-boot yourself”
5. I’ll go
crazy if I don’t go crazy tonight
(4’14”) Dopo
un inizio eccezionale, con questa track si cade nella normalità: una buona canzone
e niente più. Il ritmo costruito da Clayton e Mullen Jr è pimpante. Niente di
originale, sonorità classiche della band. Parte centrale che richiama i ritmi
della danza irlandese. Pop.
“Every generation gets a chance to change the world”
6. Get on your
boots (3’.25”) Prima hit estratta dall’album con un ottimo videoclip.
Divide il disco in due parti: la prima è sicuramente il lato A del disco. Ottima
linea di basso suonata da Clayton e ritmo molto sostenuto, ma ricorda molto Vertigo. Potente.
“You free me from the dark dream”
7. Stand up
comedy (3’.50”) Questa è la canzone peggiore del disco, che fa abbassare
il livello artistico del lavoro. Vorrebbe essere una canzone hard-rock, troppo
banale per essere degli U2! Omaggio ai Led Zeppelin nel giro di chitarra
principale di The Edge. Banale.
“Stand up to rock stars, Napoleon is in high heels /
Josephine, be careful of small men with big ideas”
8. FEZ-Being
born (5’17”) La canzone vuole
descrivere soprattutto con i suoni l’atto della nascita. Le parole sono ridotte
all’osso, spicca l’urlo di Bono. Inizia con un eco di un passaggio preso da Get on your boots. Sperimentale.
“I’m being born, a bleeding start”
9. White as
snow (4’.41”) Un’altra perla che tira su il livello della seconda parte
del disco. É una ballata folk, molto suggestiva. Le parole cantate da Bono
costruiscono immagini splendide. Poetica.
“If only a heart could be as white as snow”
10.
Breathe (5’.00) Una grande canzone rock, in cui la
chitarra di The Edge è distorta come una specie di sitar. Grande il suo assolo
sul finale. Tastiere sontuose. Possente.
“Every day I die again, and again I’m reborn”
11.
Cedars of Lebanon (4’.13”) Una
canzone parlata: le parole scritte da Bono spiccano su tutto e vengono recitate
sopra a un accompagnamento leggero. Sembrano uscite fuori da un diario di un
reporter di guerra in Medio Oriente. Impegnata.
PARTE TERZA: conclusioni
No
line on the horizon è
sicuramente un ottimo disco. I testi scritti da Bono non sono mai banali, così
come le melodie costruite dalla sua voce. Quando meno te lo aspetti, la canzone
prende una piega diversa da quella che ti immagineresti. Le armonie e le
sperimentazioni sonore sono state molto studiate: una netta distinzione
rispetto ai due album precedenti, molto più semplici di quest’ultimo. I temi
trattati sono molto profondi: nascita/rinascita, morte, amore, spiritualità,
ricerca di se stessi e vita. L’ispirazione e la vena poetica di Bono non
conoscono limiti.
Le
quattro canzoni d’apertura (No line on
the horizon, Magnificent, Moment of surrender, Unknown caller) valgono
l’intero album. Purtroppo però non si può urlare al capolavoro, perchè alcune
canzoni non risultano essere sullo stesso livello delle prime. Da bocciare
sicuramente la settima canzone (Stand up
commedy), mentre la quinta (I’ll go
crazy if I don’t go crazy tonight) e la ottava (FEZ-Being born) ricadono nella categorie di canzoni normali.
Possiamo dunque parlare di un capolavoro mancato. Peccato. Comunque No line on the horizon sicuramente
resterà uno dei migliori lavori della band irlandese e dell’intero panorama
musicale del primo decennio del XXI secolo.
In
conclusione gli U2 sembrano tornati agli antichi splendori, ossia ai livelli di
Achtung baby del 1991: un mix di rock
puro, elettronica e sperimentazione. Continuano ancora a stupire e ad
alimentare il fuoco artistico che li animava nei tempi migliori. Non ci resta
che vederli dal vivo nel 360° Tour che farà tappa a San Siro il 7 luglio
prossimo. Va detto da subito però che dal vivo le canzoni migliori di questo
album risulteranno quelle più rock, mentre quelle più sofisticate come Magnificent perderanno qualcosa.
VOTO:
(già pubblicato il 28/03/2009 su Mondoattuale)
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